martedì, Dicembre 10, 2024
Società

Trascrizione intervento dott. Roberto Bevacqua al convegno “TURISMO E TERRITORI : STRATEGIE PER L’INNOVAZIONE”

Tutela e valorizzazione dei Beni Culturali

I beni culturali rientrano tra gli asset nazionali da salvaguardare e tutelare e come tali  toccano l’interesse e la sicurezza nazionale, declinata come tutela e valorizzazione degli asset strategici  della nazione, beni materiali e immateriali che hanno, tra l’altro, un impatto e una valenza geopolitica e geoeconomica rilevante, rafforzando l’economia e il Sistema Paese sui mercati internazionali, consolidando il nostro SOFT POWER, cioè la capacità, nelle relazioni internazionali, di attrazione, di persuasione e di coercizione dolce da parte del potere politico, utilizzando risorse  intangibili, come cultura, status, valori e istituzioni.

Mediterraneo e Italia

All’interno dei quadranti geopolitici e geoeconomici uno dei foci principali è il Mediterraneo specchio di mare che rappresenta solo l’1% delle acque del pianeta. Mare fra le terre, luogo di incontro e scontro, di frammentazione e divisione, ma anche di integrazione e cooperazione, in questo mare e lungo le sue sponde ci sono centinaia di patrimoni riconosciuti e tutelati Unesco.

 Nel mediterraneo l’Italia è una potenza leader culturale, con meno dell’1% delle terre emerse ma in cui si concentrano ricchezze storico- artistico e monumentali eccezionali, diffuse capillarmente su tutto il territorio, frutto dell’incontro di popoli e culture diverse che hanno operato un sincretismo culturale unico al mondo.

Beni Culturali e Monumentali, Patrimonio Storico, Artistico e Architettonico, Luoghi di Culto, il diffuso e stratificato sistema dei castelli e delle fortificazioni, i grandi attrattori religiosi, i siti  archeologici, le dimore storiche, i parchi e i giardini, i borghi, ma anche le opere contenute nelle biblioteche, libri incunaboli, stampe, fotografie  e le carte e i documenti degli archivi, i musei grandi e piccoli, gli edifici di pregio, ma anche i musei di impresa e le strutture di archeologia industriale. A questo si aggiunge il paesaggio frutto di incontro tra arte e natura, tra cultura e lavoro che fa del nostro paese un museo stesso che vive e si trasforma, conserva e rende fruibile un patrimonio unico e allo stesso tempo immenso.

Valorizzazione economica: alcuni numeri

L’Italia dispone, dunque, di un invidiabile patrimonio storico artistico architettonico, ma nonostante tale concentrazione di beni culturali, troppo esigui appaiono i risultati in termini economici prodotti dal turismo e dalla cultura in generale. C’è la necessità di valorizzare meglio il nostro patrimonio  culturale aumentando la visibilità dei giacimenti culturali, veicolarne la  conoscenza, intensificando la promozione, investendo nell’accessibilità ai luoghi e nella segnaletica utile a raggiungere i siti, pianificando  infrastrutture viarie che aprano il territorio, definendo politiche integrate sugli attrattori culturali, definendo e valorizzando i  nodi, i poli e i distretti culturali integrandoli con politiche di valorizzazione interpolate con altre risorse turistiche come le risorse naturali, il turismo agroalimentare , digitalizzando l’offerta culturale e le modalità di utilizzo delle informazioni all’interno dei siti, integrando la rete  dei  sistemi turistici meridionali con offerte e pacchetti destagionalizzati e interconnesse tra le varie regioni meridionali.

  • In Italia il turismo genera circa 100 MLD di euro pari al 5% del PIL, il 13% del Pil se consideriamo l’indotto indiretto, conta il 6% degli occupati, oltre 3 milioni di lavoratori.
  • Ogni Sito UNESCO italiano, e sono ad oggi 60, circa il 5% del totale mondiale, riesce a generare un PIL di circa 750 milioni di euro, a fronte dei circa 2 miliardi di euro dei siti di Francia e Germania e dei quasi 3 miliardi di euro nel Regno Unito.
  • Gli introiti derivanti dal turismo straniero, attivano 52 miliardi di euro (quinto posto). Mentre siamo primi nel turismo culturale.

L’incidenza del patrimonio statale nelle macroaree e indici esplicativi

Per quanto riguarda la concentrazione delle risorse prodotte le Regioni del Nord realizzano il 56% del turismo, quelle del Centro il 24%, Sud e Isole il 20%

Sulla dimensione del patrimonio culturale italiano le percentuali si invertono

Nel Sud si trovano 145 siti tra musei, monumenti e aree archeologiche pari al 34,3% del totale nazionale. Cifra che sale a 256 se si aggiungono i 111 siti siciliani (non di competenza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo), diventando il 48% del totale italiano. Sono invece 11.543 i beni immobili (archeologici e architettonici) vincolati presenti nel Meridione, su 46.025 tutelati a livello nazionale, 3.634 biblioteche pubbliche pari al 29% delle biblioteche, 14 parchi nazionali su 24 si trovano nel sud il 60%, il 39,7% in termini di estensione.

Solo il 50% dei luoghi culturali italiani si è dotato di un sito web, pochi portali in lingua inglese e pochi indicizzati sui motori di ricerca. Ed ancora solo il 3% si è dotato di una applicazione narrativa consultabile tramite smartphone e tablet con un ritardo di digitalizzazione e di fruizione smart dei siti.

La spesa dell’Italia per la “tutela e valorizzazione beni e attività culturali e beni paesaggistici” equivale allo 0.37% del Pil, un livello inferiore a quello di altri Paesi europei come Francia (0,75%) o Spagna (0,67%). La spesa dei Comuni per la cultura è fortemente diseguale fra Sud e resto del Paese: nel Mezzogiorno la media è di 4,8 euro per abitante, contro i 14,3 euro nel Nord e i 12,3 euro del Centro. Un divario che si riflette anche sullo stato di conservazione degli edifici storici, con le regioni meridionali agli ultimi posti.

Tutela nazionale dei beni culturali

L’immenso patrimonio culturale della penisola impone non solo la sua valorizzazione ma anche la sua tutela essendo esposto non solo all’ingiuria del tempo ma alla cattiva gestione, ai furti, al saccheggio, all’esportazione illegale, all’utilizzo del territorio che spesso distrugge o occulta testimonianze del passato in assenza di indagini e conoscenza dei luoghi. L’esigenza di predisporre una disciplina specifica e articolata sui beni culturali era già presente in epoca romana, già sotto la repubblica e poi sotto l’impero si posero una serie di attività volte a dare dignitas e decoro agli edifici di culto e civili più importanti dell’urbe. Ma dopo la caduta di Roma e i secoli dominati dalle invasioni barbariche che ne seguirono è nel medioevo che le grandi signorie degli stati e dei comuni italiani iniziano a formalizzare una certa concezione del recupero, del restauro e principalmente una raccolta di opere d’arte al fine di conservarle e sotto questa spinta a edificare nuovi monumenti, e a commissionare nuove opere.

Alcuni esempi di tutela giuridica nei secoli passati

  • Nel XV°, “signori” come Lorenzo de ‘Medici’, avvertirono la necessità di adottare norme per la tutela delle opere d’arte e delle “cose rare” esistenti già in quell’epoca.
  • 1462, con la Bolla papale di Pio II° si vietò la demolizione, la distruzione e la rovina di monumenti e antichi edifici pubblici, anche privati, senza espressa licenza reale.
  • 1474, con la Bolla papale di Sisto IV°, si interveniva per impedire la spoliazione fraudolenta di marmi ed antichi monumenti dalle chiese.
  • 1624, sotto Papa Urbano VIII° (1623-1644), emanazione di una norma, a firma del Cardinale Ippolito Aldobrandini, che proibisce l’estrazione di statue e di antichità, ribadendo ancora il divieto d’esportazione con pene pecuniarie per i trasgressori.
  • 1700 sono emanati gli editti dei cardinali Spinola e Albani e soprattutto l’editto Valenti a firma del Cardinale e Segretario di Stato Gonzaga che dettero sistemazione logica e giuridica alle norme precedenti e furono recepiti dalla Prammatica Borbonica nel 1775 (Carlo di Borbone) per arginare il depauperamento del patrimonio archeologico ed esportazione di reperti antichi del Regno delle due Sicilie.
  • 1819 il Camerlengo Pacca emana un I° editto che vieta la dispersione delle carte degli archivi. Il II° editto Pacca del 1820 detta le regole per la protezione delle opere d’arte e dei monumenti.

La legislazione sui beni culturali dello Stato Italiano vede il primo testo organico nel 1904; segue la legge Rava-Rosadi del 1909 e le leggi Bottai del 1939 (nn.1089 e 1497), poi l’art. 9 della Costituzione (1948) che recita “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”.

L’espressione bene culturale, così come quella di ambiente, appare nella Costituzione, con l’articolo 117 nella riforma del 2001, stabilendo la competenza dello Stato nella tutela – in via esclusiva – dei beni culturali unitamente alla tutela dell’ambiente e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali da parte delle regioni

 Tutela internazionale

È con la Convenzione dell’Aia del 1954 che si parla per la prima volta di “bene culturale” e si pone la questione della protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, al solo fine di arginare quella pericolosa prassi diffusa durante la seconda guerra mondiale di distruggere, deturpare o impossessarsi delle opere d’arte presenti nel territorio nemico.

Le violazioni non sono crimini di guerra internazionali e pertanto la Convenzione non prevede alcun meccanismo per avviare azioni penali in un foro giudiziario internazionale come la Corte Internazionale di Giustizia.

I Protocolli I° e II° del 1977, addizionali alla Convenzioni di Ginevra del 1949, aggiornata poi nel 1999, in cui viene stigmatizzato e in definitiva vietato “il compimento di qualsiasi atto di ostilità diretto contro monumenti storici, opere d’arte o luoghi di culto, che costituiscano patrimonio culturale o spirituale, materiale che immateriale dei popoli, nonché l’uso di tali oggetti come base di azioni militari, come anche il coinvolgimento di essi nel corso di azioni di rappresaglia”.

Le Convenzioni internazionali

La Convenzioni Unesco 1970 regola per la prima volta i rapporti fra gli Stati e fissa l’obbligo di restituzione allo Stato di origine dei beni di interesse pubblico illegalmente esportati e commercializzati.

La successiva Convenzione Unesco del 1972, fornisce la definizione di «patrimonio culturale attorno a tre categorie: monumenti, gruppi di edifici e siti.

Ci vorranno altri trent’anni per ribadire in senso più stringente la salvaguardia del Patrimonio Culturale e nello specifico di quello culturale Immateriale con la Convenzione UNESCO del 2003

Accanto alle convenzioni Unesco, che ricordiamo fu costituita a Londra nel 1945 con sede centrale a Parigi, si ampliano le iniziative di organizzazioni europee volte a regolare e armonizzare i rapporti internazionali nel campo dei traffici delle opere d’arte e non solo. La Convenzione Unidroit (per l’armonizzazione del diritto privato internazionale), viene stipulata a Roma nel 1995, e regola le situazioni giuridiche nel caso in cui un bene sia stato oggetto di commercio e versi nelle condizioni per essere restituito al soggetto che ne è stato illegalmente espropriato.

Pochi anni dopo, 1998, vede la luce lo «Statuto di Roma», istitutivo della Corte Penale Internazionale, Questa al II° comma dell’art.8, definisce «crimini di guerra» gli attacchi intenzionali contro edifici «aventi natura storica o destinati a scopi religiosi, educativi, artistici, scientifici, caritatevoli, oppure ospedali …», che non costituiscano legittimi obiettivi militari.

Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ONU

Accanto alle convenzioni dell’UNESCO vengono emanate numerose Risoluzioni da parte dell’Onu che trattano le questioni dei beni culturali all’interno di questioni più ampie. Le Risoluzioni 2170 (2014) e 2178 (2014) nelle quali Consiglio di Sicurezza ha affrontato i temi legati alla natura terroristica delle condotte di Isil-Daesh e quelle relative al fenomeno dei «foreign terrorist fighters» (Ftf), ponendo sempre più l’accento sulle forme di supporto e di finanziamento delle attività illegali compiute da tali soggetti attraverso le spoliazioni e le vendite di beni artistici e archeologici.

La Risoluzione 2195 (2014), fortemente voluta dai Paesi africani, pone l’accento sui legami fra gruppi terroristi gruppi criminali transnazionali, sulle relazioni di traffico di esseri umani, il traffico di armi e droga e il traffico di beni culturali.

Con la Risoluzione 2199 (2015) si affronta il tema del finanziamento delle attività dei gruppi terroristi ma si toccano anche i temi della cooperazione internazionale contro la rimozione dei beni culturali, gli atti di esportazione, di trasferimento, di successiva importazione e commercializzazione.

Ancora nello stesso anno un intervento dell’Onu con la Risoluzione 2253 (2015) riguarda il commercio di beni culturali (definiti quali «antiquities») come forme di finanziamento per i gruppi terroristi che devono essere sanzionate e bloccate.

Ulteriori due Risoluzioni sono la 2322 (2016), sulla cooperazione internazionale, di polizia e giudiziaria, nel contrasto ai crimini terroristici e ai crimini ad essi collegati, incluse le aggressioni al patrimonio e ai beni culturali e la n.2347 (2017) che ha per oggetto la protezione dei beni culturali e il contrasto al loro traffico in relazione a situazione di conflitto armato o di azioni commesse da gruppi terroristici.

Database CC/TPC E INTERPOOL

L’aggressione ai simboli della cultura del nemico distrugge le memorie di una collettività, una pulizia culturale delle minoranze che serve a eliminarne l’identità e alimentare la propaganda, ma anche a finanziare l’attività terroristica con la depredazione, gli scavi sistematici, i saccheggi alimentando un vero e proprio traffico internazionale attraverso i canali attivati da mercanti d’arte senza scrupoli. Negli Stati Uniti (ma non solo) il traffico di opere d’arte è al terzo posto dopo il traffico di stupefacenti e di armi. Gran parte del valore economico delle opere trafugate e saccheggiate nei siti clandestini si colloca nelle fasi successive allo scavo ossia nelle fasi di traffico dei beni e di commercio finale con la collocazione in mani di collezionisti privati. Generalmente, a parte l’eventualità di beni di eccezionale valore storico artistico il cui valore economico è rilevante, le attività di scavo e di appropriazione dei beni culturali possono essere economicamente rilevanti solo in presenza di un numero molto elevato di oggetti che procurano al tombarolo buoni introiti solo in base quindi al numero di oggetti trafugati che vengono piazzati a prezzi notevolmente inferiori al loro valore economico. Che verrà spuntato poi nei vari passaggi fino al collezionista finale.

L’Unesco utilizza il termine «genocidio culturale» per definire la sistematica distruzione di monumenti intesa a cancellare la storia e a distruggere la memoria collettiva di una popolazione, proprio perché la maggior parte di tali crimini sui beni culturali passa inosservata, in quanto non dichiarata alle autorità e spesso originata da scavi sconosciuti, non classificati. Per fare un esempio, delle spoliazioni illegali trafugate dai siti artistici siriani, libici e iracheni sono stati recuperati meno 1% dei beni, molti di essi sono catalogati e un giorno potrebbero essere recuperati una volta ritrovati in collocazioni illegittime, ma per tutti quelli di cui non si conosce, la data di scavo e i siti originari, il reperto,  resta molto difficile recuperarne soprattutto la storia e di conseguenza la memoria dei luoghi e la cultura dei popoli.

 L’Italia resta uno dei paesi storicamente più soggetti a scavi clandestini, a furto di opere d’arte, dato l’immenso patrimonio storico, artistico e archeologico del Paese, e tale fenomeno criminale caratterizza tutte le regioni con un’accentuazione nelle regioni meridionali, più ricche di testimonianze archeologiche, ma anche meno sensibili nel corso dell’ultimo secolo alla loro tutela e su cui si è concentrata anche una parte delle attività delle holding criminali. Nel 1969 l’Italia vara il I° nucleo specializzato nel contrasto al traffico di antichità e opere d’arte, il Comando per la tutela del patrimonio culturale (Tpc) dei Carabinieri. Nel corso degli ultimi decenni sono state decine di migliaia i reperti recuperati dal Comando TPC, con picchi di oltre centomila reperti archeologici all’anno, ma anche recuperando quadri e oggetti di estremo valore contenuti in collezioni private, antiquari, trafficanti di opere d’arte, musei in giro per il mondo, collaborando con le polizie estere e l’Interpool.

L’Utilizzo di un database contenenti informazioni accessibili per contrastare efficacemente l’attività di traffico e quella di vendita dei beni sui mercati, come il database del Comando CC TPC e quello dell’Interpol Stolen Works of Art Database sono utili strumenti di analisi, confronto e indagine sui beni trafugati, ma ancora una volta resta l’incognita per tutti quei beni ignoti al database perché scavati in siti non ancora scoperti e annessi al patrimonio dello stato e che lacera il filo della conoscenza dei luoghi e dei popoli.

Questioni Aperte

Sono tante le questioni aperte, situazioni limite in cui le spoliazioni, i saccheggi, i traffici di opere d’arte, ma anche le distruzioni di intere città e dei simboli civili e religiosi di un luogo cancellano la memoria, la cultura e lo spirito di un popolo. In Cambogia, dove nel corso di un trentennio che ha lacerato il paese e che va dal genocidio operato dai  Khmer rossi di Pol Pot nei primi anni settanta del xx secolo, alla successiva occupazione vietnamita del paese e giunge fino alla proclamazione della prima costituzione del 1993 della democrazia cambogiana, vi è stato un vero e proprio saccheggio di opere d’arte dai templi cambogiani finiti nelle mani di collezionisti e mercanti di arte, come il famoso Latchford che in quaranta anni di spoliazioni ha distrutto gran parte dell’eredità spirituale e culturale, oltre che artistico monumentale, della Cambogia e oggi, dopo la sua morte, risulta difficile recuperare l’immenso patrimonio monumentale e artistico sottratto e blindato in diversi trust, rifugi, caveau e società offshore. Il diffuso fenomeno di theft on demand e cioè la richiesta a persone del luogo di sottrarre opere d’arte e oggetti preziosi civili e religiosi dai templi, soprattutto nel sud est asiatico, opera una vera e propria espoliazione che, in parte, ancora oggi continua.  Anche nel bacino del mediterraneo e nel medio oriente questo fenomeno rischia di accentuare la distruzione della memoria storica e culturale dei luoghi.

Somalia: il grave saccheggio, da parte dei gruppi armati somali, dei beni culturali che diventano oggetto di traffici illeciti è finalizzato all’arricchimento personale o al finanziamento dei gruppi paramilitari. Sparizioni e danni di beni sono registrati in diversi musei e istituzioni, collezioni private, siti archeologici e sottrazioni importanti al Museo Nazionale di cui l’Unesco coordina il restauro dal 2019 con finanziamenti dall’Italia.

 

Siria: tra il 2015 e il 2017 lo Stato Islamico ha distrutto il Tempio di Bel, il Tempio di Baalshamin, l’Arco di Trionfo di Settimio Severo, le Torri Funerarie Romane, il Monastero di Mar Elian. Danneggiata la città di Aleppo, e il sito archeologico di Palmira.

Libia: danneggiata l’antica città di Gadames, distrutti il Tempio Sufi e i siti rupestri di Tadrat Acacus, danneggiati quelli archeologici di Cirene, Leptis Magna e Sabratha

Iraq: distruzioni, spoliazioni museali e scavi illegali nella città di Mosul e di Hatra

Afghanistan: distruzione dei Buddha di Bamiyan, saccheggio e devastazione del museo di Kabul.

Mali: 2013 i miliziani di Al Qaeda diedero fuoco all’Istituto Ahmad Baba di Timbuctu, che conservava quasi 100mila manoscritti. Dopo le biblioteche, i jihadisti passarono ai monumenti, distruggendo 10 siti UNESCO tra mausolei e moschee.

Conclusioni

Ecco che diviene estremamente necessario perseguire i responsabili di distruzioni e saccheggi di opere d’arte, come è stato fatto con il terrorista Ahmad al Faqui. Si tratta della prima condanna della Corte Penale Internazionale, a 9 anni di carcere, per distruzione intenzionale di monumenti storici e di valore religioso con riferimento a violenze commesse per finalità di terrorismo da affiliato a Al-Qaida. Aumento delle pene per trafficanti di oggetti d’arte, tombatoli e mercanti di arte.  Perseguimento dei traffici illegali, nuove normative di contrasto al passo con i tempi, maggiori finanziamenti e tecnologie alle polizie per la lotta agli affari illeciti dovuti ai traffici di opere d’arte. Infine una maggiore collaborazione tra Unesco, istituzioni pubbliche e private, musei, stati e polizie internazionali. Catalogazione e inventari dell’esistente, database internazionali, digitalizzazione delle opere e infine monitoraggio satellitare dei siti non solo Unesco e ricostruzioni, come in parte già avvenute con il Ponte di Mostar in Bosnia e dei 14 Templi e Mausolei di Timbuctu, oppure come la realizzazione dell’imponente progetto “Revive the Spirit of Mosul” dell’UNESCO dopo la furia distruttrice delle forze dell’ISIS.

La guerra genera distruzione di popoli e di opere, ma nei luoghi che vivono al riparo da essa non dimentichiamo che solo l’educazione, la cultura e la conoscenza cementano la pace e tutelano e salvaguardano la storia, la cultura, la memoria dei luoghi.

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