domenica, Ottobre 13, 2024
Economia

“L’antivirus economico finanziario: collante dell’Unione o suo de profundis”

di Roberto Bevacqua direttore Eurispes Regione Calabria

Le tensioni politiche interne al nostro Paese, sia tra maggioranza e opposizione che all’interno dei singoli schieramenti, rischiano di indebolire la posizione italiana nella trattativa europea sugli strumenti da adottare per fronteggiare la crisi del sistema produttivo dell’Unione.
La saldatura – per ora – tra Italia, Francia e Spagna sembra però consolidare il gruppo degli Stati che chiedono con forza l’emanazione di Euro Bond, cioè titoli di debito pubblico il cui rimborso sia garantito da tutti i paesi dell’area euro a differenza di una seconda cordata di Stati – Germania, Olanda, Finlandia, Austria – che invece premono affinché lo strumento principe per sostenere gli investimenti per la ripresa dalla crisi generata dal covid 19 sia il MES.
La questione non’è di poco conto sia in termini economici che e politici, sia in termini di condizionalità che di solidarietà e flessibilità.
In entrambi i casi si tratta di fondi presi a debito, sia attraverso il fondo salva stati -MES- che attraverso l’emissioni di obbligazioni garantite da tutti gli Stati dell’area euro, ma il MES con le sue condizioni rigide o con quelle meno restrittive e finalizzate alle spese sanitarie resta uno strumento di prestito soggetto a regole ben precise, come l’accettazione di un piano di riforme la cui applicazione in pratica è soggetta al controllo della Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale, al fine di mantenere in pareggio i conti pubblici di quegli stati che si indebitano per far fronte a uno stato di difficoltà nel reperimento di fondi per finanziare le spese.
La crisi delle economie europee dovuta al coronavirus in questo caso non’è stata determinata da situazioni di preesistenti difficoltà dei sistemi economici statuali ma si è accavallata ad essi come shock esogeno, generando un blocco quasi totale dei comparti produttivi, arrestando consumi e bloccando le filiere di approvvigionamento, decretando fallimenti soprattutto della piccola e media impresa, distruggendo milioni di posti di lavoro, azzerando la produzione di beni e servizi .
Proprio in virtù di questa eccezionalità la Francia, l’ Italia e la Spagna in primis rifiutano lo strumento del MES, anche a condizionalità leggera, in favore dell’emissione di Euro Bond, attraverso i quali si raccoglierebbero risorse sui mercati finanziari garantiti dall’insieme degli Stati che compongono l’eurozona.
Naturalmente chi si oppone agli Euro Bond lo fa anche in virtù del fatto che accanto alla garanzia comune che obbliga in solido tutti i membri dell’area euro ci sarebbe un ben poco controllo sia sugli importi raccolti che sull’uso relativo che se ne farebbe, ossia sulla spesa in investimenti .
Gli effetti dell’emissione di” titoli comuni” dall’altra parte avrebbe molteplici conseguenze per tutta l’eurozona: se da una parte lascerebbe agli stati una certa tranquillità operativa sulle scelte di investimenti da operare e una minor controllo politico – Troika – dall’altra realizzerebbe un avanzamento del sogno europeo di solidarietà , una maggiore corresponsabilità operativa – con un relativo rischio di azzardo – un minor costo di raccolta dovuto a più bassi tassi di interessi per via dei minori rischi per i mercati finanziari sottoscrittori delle obbligazioni comuni e una maggiore raccolta in termini di massa critica.
Accanto dunque alle azioni e agli strumenti già in essere operati dalla Banca Centrale Europea con continui acquisti di titoli, soprattutto italiani in questi mesi, accanto allo SURE a sostegno della cassa integrazione e al lancio del pandemic emergency della Bei, la partita ruota intorno alla prossima decisione del consiglio europeo tra l’adozione del MES light, o i discussi Euro Bond avversati dai paesi nordici per le motivazioni sopra citate.
All’orizzonte sembrerebbe che un altro strumento possa contemperare le diverse esigenze degli Stati, risolvendo lo stallo che si è delineato e cioè il Recovery Found, un fondo garantito dal bilancio della comunità europea da utilizzare per emettere dei Recovery Bond e cioè titoli di debito comune che drenerebbero liquidità sui mercati per poi metterla a disposizione degli stati in difficoltà per l’emergenza dovuta al covid 19.
Con questo strumento si eviterebbe la mutualizzazione del debito pregresso degli Stati dell’area Euro in caso di default di uno Stato che invece si rischierebbe con l’emissione di Euro Bond da parte dell’UE per poi acquisire titoli di uno Stato per finanziarne le spese e gli investimenti.
Dall’ esito della partita tra i diversi schieramenti sul tavolo europeo dipenderà gran parte del futuro dell’unione, un accelerazione della sua integrazione o un ineluttabile scollamento.
Ogni crisi porta con sé delle opportunità e dei rischi, e mai come in questo momento entrambi sembrano giganteggiare e incombere sulla più grande area commerciale e strategica del mondo.
La recessione mondiale che si sta prospettando impone delle scelte immediate che si legano ai rischi di uno sfaldamento dell’unione se non sarà in grado di garantire tutti i paesi che ne fanno parte e allo stesso tempo è legata agli imprevedibili scenari che il virus si porterà dietro nei prossimi mesi, viste le ipotesi contraddittorie che gli stessi scienziati prospettano per il futuro .
Accanto a queste problematiche sullo scacchiere europeo si muovono gli interessi geopolitici e gli interessi economici di Cina, Russia e Usa che, al di la della crisi che ha generato il covid 19 anche nelle loro economie, sono caratterizzati da alti tassi di occupazione e un PIL che fino all’esplosione del coronavirus cresceva molto di più di quello di un Europa troppo burocratizzata, poco flessibile e orientata alla sola integrazione monetaria, con evidenti squilibri macroeconomici .
Se l’Europa non riuscirà a cementare l’idea stessa di unità dell’eurozona, rafforzando lo strumento della moneta unica, riducendo i vincoli di austerità e integrando le politiche fiscali rischierà di apparire a gran parte dei cittadini europei un istituzione lontana dai loro bisogni e dagli interessi dei loro territori.
Occorrono da tempo politiche anticicliche che allentino i legacci di un austerità che ha agevolato i paesi ad economia più forte come la Germania, dilatando le loro esportazioni – avanzo commerciale che ha superato il 7% del Pil – aiutate anche dalla moneta unica che non ha consentito, come succedeva prima con i tassi di cambio tra le diverse valute statuali, la rivalutazione delle loro singole monete riequilibrando le bilance commerciali, ma ciò ha disgregato le economie dei paesi più fragili a iniziare dalla Grecia.

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Semplificando, l”introduzione della moneta unica ha definitivamente cancellato la possibilità delle svalutazioni delle singole monete nazionali in armonia alle diverse azioni operabili dalle banche centrali, con la possibilità di rendere i loro prodotti più appetibili sui mercati internazionali rafforzando le loro bilance commerciali.
L’idea che la moneta unica avrebbe alimentato il commercio tra i paesi membri sostenendo soprattutto, in un azione equilibratrice, proprio le regioni e gli Stati più deboli attraverso processi di convergenza non si è del tutto realizzata. Anzi i vantaggi comparati che avrebbero dovuto rendere più competitivi i territori dell’Europa meridionale per evidenti economie nei costi per servizi e costi delle aree di agglomerazione si sono ribaltate favorendo invece un ulteriore concentrazione di investimenti industriali e commerciali nelle aree centralizzate e già congestionate, attraendo ancor più capitali a basso costo e nuovi servizi, digitalizzando le aree già più efficienti e marginalizzando ulteriormente quelle più depresse e periferiche.
In conclusione, siamo alla vigilia di scelte importanti per L’UE, decisive per dare una direzione e degli strumenti condivisi non solo per fronteggiare l’emergenza economica e sanitaria che ha colpito gli Stati ma anche per cogliere le opportunità che i fondi necessari per la ricostruzione possono imprimere all’economia dell’Eurozona, riequilibrando i territori marginali con quelli centralizzati da una parte e investendo su quei settori strategici che l’unione ha colpevolmente e distrattamente lasciato a Stati molto dinamici che delineano “Vie” commerciali materiali e digitali, conquistando spazi economici e geopolitici lasciati vacanti da un Europa troppo debole sul lato dell’immediatezza delle contromisure verso i suoi “rivali sistemici”, o sui vantaggi degli accordi che difendano i suoi valori e i suoi interessi.

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