sabato, Luglio 27, 2024
Economia

Analisi Del Settore Produttivo Italiano: Mappa Del Rischio Covid Tra Cure E Eutanasia

nota di Roberto Bevacqua Direttore Krysopea Institute

Nell’analizzare i dati dell’economia italiana (fotografata dai dati Istat 2020) sotto gli influssi della crisi pandemica, non possiamo non relazionarla con i dati sintetici del resto del mondo, tanto più che le relazioni intersettoriali e gli scambi e i flussi internazionali sono oggi estremamente intercorrelati e contribuiscono ad acuire o frenare gli effetti destabilizzanti che il covid ha sull’economia dei singoli stati.
La caduta della domanda interna e la forte flessione delle esportazioni hanno visto un’omogenea recessione dell’economia degli stati ad eccezione della Cina che già a metà del 2020 aveva recuperato i livelli di attività pre_covid.
Il rallentamento dell’economia mondiale ha generato forti contrazioni delle importazioni e delle esportazioni, una riduzione più o meno accentuata delle ore di lavoro impiegate, crisi di liquidità, crollo della domanda di consumi interni.
La competitività sui prezzi e sui prodotti di qualità del modello di specializzazione del comparto esportatore italiano ha fatto si che, nonostante la riduzione delle esportazioni, si mantenesse il peso e la capacità di concorrenza rispetto agli altri paesi antagonisti.

A fronte di un calo del 6.6% dell’ attività economica della zone euro il dato della contrazione del Pil italiano si è attestato intorno all’ 8,9%, circa il doppio del calo dell’area tedesca e in posizione mediana tra il meno 11% della Spagna e l’8,1% della Francia, con una perdita di 150 miliardi di euro di Pil, quasi 110 miliardi di contrazione di consumi, e una fuoriuscita di occupati di circa 435mila unità, mentre l’indebitamento pubblico è passato dai 27,9 miliardi del 2019 a 156,3 miliardi del 2020.
Accanto a questi dati strutturali monta un crescente e devastante disagio sociale, un acuirsi della fragilità del sistema bancario, un allontanamento della ricomposizione del riallineamento economico regionale.

Le regioni italiane secondo il profilo di rischio operativo combinato delle imprese e degli addetti nelle imprese. Anno 2020

Fonte: Elaborazioni su da

Il crollo della domanda interna ha caratterizzato fortemente la contrazione del nostro Pil che risulta influenzato, in modo molto meno incisivo, dalla contrazione delle esportazioni dello 0,8%, che ha tenuto, in parte, per via delle strategie di internazionalizzazione del modello di specializzazione delle imprese italiane, che collocano i loro prodotti di qualità a prezzi competittivi e su mercati dinamici.
Il massiccio ricorso ai servizi di e-commerce, la diversificazione dei canali di vendita, la riorganizzazione dei processi di lavoro in smart working e una profonda rigenerazione verso la transizione digitale, anche attraverso sistemi più aperti di partecipazione e gestione di attività condivise, ha tamponato gli effetti devastanti della crisi sia in termini di sopravvivenza delle stesse imprese che di riduzione dei settori di attività.
Un terzo delle piccole e piccolissime imprese, risultate quelle più esposte ai venti della crisi, ha visto una elevata caduta della domanda interna, una contrazione dei livelli di liquidità operativa, una seria difficoltà ad immaginare e attuare una strategia difensiva per arginare la crisi e rimettere in moto le attività.
L’indebitamento verso il sistema bancario, i costi fissi non sostenuti dal sistema centrale hanno messo in crisi circa il 30% delle piccole imprese, soprattutto quelle del settore terziario e ancor più del settore turistico, accentuando tra l’altro il divario regionale con le aree meridionali già colpite da difficoltà congenite, da debolezza e poco strutturazione del tessuto produttivo e dei sistemi distrettuali locali, molto più esposti a rischi combinati (riduzione del fatturato, seri rischi operativi, nessuna strategia alla crisi) .
Se l’analisi si concentra su quelle imprese meno internazionalizzate e quelle che hanno una propensione all’esportazione su mercati dinamici, la crisi appare ampliarsi e restringendo l’analisi per settori si vede che il comparto servizi è caratterizzato da profondi sconvolgimenti strutturali e una fragilità elevata per circa il 50% delle imprese, con in testa il settore della ristorazione (95%) ma con punte simili o poco distanti anche il comparto dei servizi alla persona, al paesaggio, attività sportive costruzioni, abbigliamento etc.
Un rischio strutturale, dunque, che mette in crisi un modello produttivo e di fornitura di servizi che ha rappresentato l’ossatura del tessuto produttivo italiano e che nel breve/medio periodo rischia di scomparire portandosi dietro una crisi occupazionale che rappresenta una forza di circa il 20%.

Imprese che hanno dichiarato riduzioni di fatturato superiori al 10% e imprese a rischio operativo per macrosettore e classe di addetti. Anno 2020 (valori percentuali)

Cosa fare

Per affrontare una crisi che ha toccato tutti i settori dell’economia in modo profondo bisogna agire in modo profondo.
Diventa perciò prioritaria una politica espansiva con incisivi impulsi fiscali e finanziari che restituiscano fiducia e capacità d’investimento al settore privato, garantiendo al contempo la tenuta di occupazione con interventi infrastrutturali pubblici.
È necessario un riammodernamento dei comparti produttivi, accompagnando le imprese a una nuova fase di sviluppo digitale sostenendo l’internazionalizzazione e la loro capitalizzazione, sostenendo altresì il tessuto imprenditoriale per riallocarlo verso settori più innovativi aumentando la competitività del sistema paese e la transizione digitale . Bisogna accorciare le distande socioeconomiche infrastrutturali delle tre italie attraverso un completamento delle infrastrutture logistiche e intermodali nazionali in aderenza ai corridoi europei della linea TEN-T, sciogliendo quei nodi infrastrutturali che hanno reso monca la connettività e il transito merci ad alta capacita e alta velocità delle piattaforme continentali e insulari, relegando la nazione a un declino competitivo e a un isolamento tecnologico figlio di un ideologico immobilismo creativo/oprerativo.

L’aumento della produttività si ricollega, dunque, alla ristrutturazione delle infrastrutture, materiali e immateriali del Paese, alla riforma dello Stato a partire da profondi riordini (fisco, concorrenza, formazione e istruzione, giustizia civile, sanità, pubblica amministrazione), efficientando il sistema Italia attraverso un processo di digitalizzazione che attraversi ogni settore pubblico e privato del Paese, rendendo il sistema più attrattivo per investimenti esteri e formulando un modello economico di sviluppo di medio lungo periodo, all’interno del quale si ponga in risalto la difesa e il potenziamento dei settori strategici della nazione, sempre più minacciati dagli interessi economici e geopolitici di nazioni “amiche”.
Gli impulsi fiscali, necessari per riconvertire e sostenere il tessuto imprenditoriale italiano, sono notevoli e rappresentano un opportunità unica per ripartire e riprogrammare un nuovo modello di sviluppo del Paese.
Nel 2020, i fondi impegnati sono stati circa 108 miliardi pari al 6,6% di Pil. Il 2021 potrà beneficiare, accanto alla quota di intervento espansivo dello Stato, del contributo NextGenerationEU pari a circa 10 miliardi di euro nell’anno in corso che rappresenta una quota degli oltre 200 miliardi di euro da spendere entro il 2026.
Politiche espansive che, se ben programmate e pianificate, potranno ridisegnare, a nostro avviso, una nuova road map dell’economia del Paese all’interno degli scenari mondiali del prossimo decennio.

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