sabato, Luglio 27, 2024
Politica

Taiwan, l’isola contesa. Una guerra è possibile?

di Umberto Bonavita

All’inizio di ottobre 2021, la Cina ha inviato circa 150 aerei da guerra nella zona di identificazione della difesa aerea di Taiwan (ADIZ), in una massiccia escalation della sua attività militare diretta verso l’isola. Negli ultimi due anni, l’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) ha aumentato la sua attività, con sortite quasi quotidiane nell’ADIZ e frequenti esercitazioni militari nelle vicine aree marittime.

I dati di monitoraggio delle sortite mostrano un cambiamento nella composizione delle missioni dell’aeronautica del PLA. Gli aerei di sorveglianza sono stati sostituiti da caccia da combattimento. È aumentato anche l’uso di bombardieri in grado di trasportare armi nucleari.

Per comprendere bene la situazione di Taiwan, bisogna analizzare la storia e la politica del Paese.

La Repubblica di Cina è uno Stato insulare de facto (la RPC si è sempre considerata come uno Stato de iure) costituito da Formosa e dagli arcipelaghi di Matsu, Penghu e Kinmen, ma che nella sua Costituzione rivendica anche la sovranità sulla Cina continentale e la Mongolia Esterna.

È nota anche come Taiwan, dal nome dell’isola principale che costituisce l’entità statale o, nelle lingue neolatine, Formosa. In ambito internazionale Taiwan è conosciuta altresì come “Taipei Cinese” per via dell’opposizione diplomatica della Repubblica Popolare Cinese all’uso di un nome indipendente, in quanto essa chiama ufficialmente la Repubblica di Cina: «Provincia separatista di Taiwan».

Non è riconosciuta né dalla Repubblica Popolare Cinese (la Cina continentale) né dagli altri quattro membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU (Francia, Russia, Stati Uniti e Regno Unito), nonché dal Canada e dagli altri Stati dell’Unione europea. Tuttavia, Taiwan intrattiene con essi rapporti di collaborazione e di commercio (solitamente con un ufficio di rappresentanza facente funzioni di ambasciata, con il nome di Taiwan o Taipei); attualmente è riconosciuta solo da 15 Stati sovrani in tutto il mondo, tra cui la Santa Sede.

La storica capitale della Repubblica di Cina è Nanchino, che però si trova nella Cina continentale; attualmente il governo di Taiwan non riconosce una capitale de iure, mentre la capitale de facto e sede del governo centrale è Taipei.

L’aumento dell’attività militare cinese a Taiwan negli ultimi mesi ha causato preoccupazione a livello globale.

Al centro del divario la visione del governo cinese che considera Taiwan una provincia separatista che, alla fine, tornerà a far parte del paese.

Molti taiwanesi non sono d’accordo. Sentono di avere in effetti una nazione separata, indipendentemente dal fatto che l’indipendenza sia mai stata dichiarata ufficialmente.

La minaccia di un’invasione da parte della Cina fa parte della vita quotidiana di Taiwan, per più di 70 anni le persone hanno “aspettato” una guerra che deve ancora venire.

Nel 1949, la Cina e Taiwan passarono effettivamente sotto il dominio di due diversi partiti dopo che il Kuomintang (KMT) che aveva governato entrambi fuggì sull’isola. Il Partito Comunista ha conquistato la terraferma, evolvendosi fino a diventare l’odierno governo della Cina. Da allora, ogni leader cinese ha affermato di avere un piano militare formale per recuperare Taiwan.

Nel frattempo, essa tiene elezioni democratiche, ha media liberi, proprie forze armate e valuta.

Le attività su larga scala sono spesso collegate ad eventi specifici come il National Day della Cina o le rimostranze di Pechino. Con incursioni di circa 130 aerei cinesi in tre giorni nell’ADIZ di Taiwan.

Bonnie Glaser, direttrice del programma Asia presso il German Marshall Fund, ha affermato che i voli sono sempre più utilizzati per l’addestramento, ma anche “per segnalare agli Stati Uniti e a Taiwan di non oltrepassare le linee rosse cinesi”.

Ma soprattutto per mettere alla prova l’aeronautica di Taiwan, per costringerla a decollare, per stressare aerei, piloti, costringerli a fare più manutenzioni e testare le risposte del sistema di difesa aerea di Taiwan.

C’è stata molta confusione sull’area in cui volano gli aerei da guerra cinesi. Non stanno entrando nello spazio aereo di Taiwan riconosciuto a livello internazionale, il che segnerebbe un atto significativo e ostile. Ma nella zona ADIZ (zona di identificazione di difesa aerea), aree e procedure vengono spesso decise con atto unilaterale dagli Stati interessati e frequentemente si estendono ben al di fuori delle sue frontiere o delle sue acque territoriali, coinvolgendo anche regioni ed informazioni di volo gestite da altre nazioni. Non esistono criteri fissi per stabilire un’ADIZ, ma nella decisione di attivazione di una zona di identificazione incidono le valutazioni politico-militari e la diversa sensibilità nei riguardi della sicurezza nazionale.

Non tutti gli Stati hanno dichiarato l’ADIZ, i governi che lo hanno fatto richiedono agli aerei stranieri che entrano nella zona di fornire un avviso. Il PLA non lo fa.

L’ADIZ di Taiwan copre parti della Cina continentale, ma Taiwan non segnala “incursioni” fino a quando gli aerei non hanno attraversato il lato taiwanese della linea mediana.

Durante la crisi dello stretto di Formosa, nel 1958, vi furono scontri violentissimi, le isole Quemoy e Matsu vennero colpite dall’esercito cinese, e le loro guarnigioni assediate anche via mare. I cinesi non riuscirono a farle cadere in un mese di scontri durante i quali vennero ingaggiate dure battaglie aeree, finite con la vittoria di Taiwan, tra F-86, MiG-15 e MiG-17 cinesi, grazie anche all’esordio dei missili AIM-9 Sidewinder. Mentre gli USA, appoggiando Taiwan, schierarono unità da combattimento equipaggiate tra l’altro con i nuovissimi F-104, gli unici bisonici in servizio all’epoca, velivoli nettamente superiori ai caccia di produzione sovietica dei cinesi comunisti.

Da allora, Taiwan continuò a essere utilizzata dagli statunitensi come base avanzata contro la Cina: moltissime missioni di ricognizione vennero condotte sia da aerei sia da palloni sonda di costruzione americana. Ciò non mancò di accendere proteste e crisi periodiche.

In seguito, la cosiddetta “Fortezza sullo Stretto” si è dotata di hangar corazzati contro i missili balistici cinesi, e un sistema di difesa aereo polivalente con capacità antimissili, basato su radar da avvistamento precoce, HAWK modificati, Patriot e Tien Kung (modello locale in gran parte derivato dal Patriot). Per i soli radar sono stati spesi ben oltre 13 miliardi di dollari. Programmi esorbitanti per un’isola di 30 000 km², che continueranno: Taiwan ha proposto di spendere 8,69 miliardi di dollari americani in più per la difesa nei prossimi cinque anni, compresi i nuovi missili, avvertendo dell’urgente necessità di potenziare le armi di fronte alle “gravi minacce” provenienti dalla Cina, che rivendica l’isola come propria.

La presidente di Taiwan Tsai Ing-wen, insediatasi per la prima volta nel 2016, ha fatto della modernizzazione delle forze armate e dell’aumento delle spese per la difesa una priorità. Il nuovo denaro, che si aggiunge alla spesa militare pianificata di 17 miliardi di dollari americani per l’anno a partire da gennaio, dovrà essere approvato dal parlamento. Il partito di governo di Tsai ha una larga maggioranza e dunque il suo passaggio dovrebbe essere agevole.

Nonostante affermazioni inesatte secondo cui le armi stiano aiutando Taiwan ad essere capace di difendersi, decenni di vendite e rassicurazioni americane hanno convinto i leader taiwanesi che gli Stati Uniti sono, in ultima analisi, responsabili della sicurezza di Taiwan. La spesa per la difesa di Taiwan è rimasta bloccata per anni a circa il 2% del suo prodotto interno lordo, gran parte della quale speso in armi americane ad alta tecnologia che non saranno molto efficaci in caso di guerra.

Secondo un rapporto pubblicato dalla George Mason University, funzionari militari taiwanesi, legislatori di alto livello, leader eletti, ex funzionari governativi e studiosi della difesa, hanno dichiarato che le vendite di armi statunitensi hanno lasciato che “la Cina sapesse che l’America sarebbe intervenuta per nostro conto in un conflitto”.

In breve, quando acquista armi americane, Taiwan sta semplicemente effettuando pagamenti assicurativi per garantire l’intervento americano in risposta ad un’invasione cinese.

Mentre le vendite di armi possono aver rassicurato Taiwan sulla massima disponibilità degli Stati Uniti, hanno anche fatto infastidire e alienare Pechino. Dopo che gli Stati Uniti riconobbero la Cina continentale, si impegnarono ad astenersi dal vendere armi offensive ai taiwanesi. Ma i caccia, i missili e gli aerei avanzati non sono certo puramente difensivi. Ironia della sorte, il presidente Joe Biden lo capiva. Nel 1999, l’allora Sen. Biden ha affermato che imporre la vendita di armi a Taiwan sarebbe “l’equivalente di sventolare un mantello rosso di fronte a Pechino”.

I cinesi sono sicuri che tali armamenti non sono funzionali alla sola difesa dell’isola, e va notato che effettivamente la sicurezza di Taiwan non risulta garantita, data l’elevata potenzialità degli economici missili balistici (circa 1 milione di dollari l’uno) che i cinesi costruiscono in grandi quantità: la Cina potrebbe lanciare contro Taiwan parecchie migliaia di missili balistici, ben più dei missili che si suppone potrebbero intercettarli (con circa 3-4 SAM per ciascun missile balistico). Inoltre, le mine cinesi potrebbero causare un grave blocco navale ai porti taiwanesi, essenziali per un paese che vive di commercio e non ha l’autosufficienza alimentare. In altri termini, Taiwan, 300 volte più piccola della Cina comunista, resta con un territorio molto più vulnerabile a una campagna massiccia cinese di mine navali e missili, senza bisogno che i caccia degli opposti schieramenti si diano grandi battaglie o che le truppe da sbarco occupino Taipei.

Oltre ai suoi ovvi vantaggi in termini di manodopera, la Cina gode anche di una schiacciante superiorità aerea e navale che le vendite di armi statunitensi da sole non possono invertire. La Cina può bloccare la nazione insulare, trasportare carri armati su vasta scala sull’isola e sopraffare i sistemi di difesa aerea di Taiwan. Qualche altro cannone, missili e aerei non possono cambiare la situazione.

La preoccupazione della Cina per queste vendite di armi sempre più sofisticate è comprensibile. Dal “Pivot to Asia” del presidente Barack Obama del 2011 alla guerra commerciale del presidente Donald Trump, le preoccupazioni americane per la crescita della Cina sono chiaramente aumentate. Oltre a vendere a Taiwan armi sempre più sofisticate, il Pentagono sta schierando navi e aerei nelle aree circostanti la Cina. Non sorprende che i leader cinesi temono che gli Stati Uniti e i loro alleati stiano riprendendo la strategia della Guerra Fredda di accerchiare i loro avversari.

I tentativi di dissuadere la Cina con una maggiore presenza militare statunitense e la vendita di armi a Taiwan stanno avendo l’effetto opposto. Il budget della difesa cinese è raddoppiato nei dieci anni da quando Obama ha annunciato il pivot. La Cina sta anche abbinando l’aumento del dispiegamento aereo e navale degli Stati Uniti a proprie manovre più aggressive.

Si crede che nessuna delle tre parti attualmente in controllo della situazione voglia davvero combattere una battaglia ad ogni costo. Per ovvie ragioni, sono tutti molto preoccupati per la possibilità di una guerra e non lanceranno facilmente un conflitto.

Sebbene il governo degli Stati Uniti abbia ripetutamente sottolineato la sua piena capacità di difendere Taiwan, gli americani comuni, dopo la disastrosa fine della guerra in Afghanistan, potrebbero non essere affamati di un’altra guerra all’estero. Non sono ancora disposti a correre rischi nelle relazioni sino-americane. Ovviamente mantenere l’equilibrio strategico, non la guerra, può massimizzare gli interessi degli Stati Uniti.

Allo stesso modo, mentre il governo Tsai Ing-wen del DPP sottolinea che le forze di difesa di Taiwan non dovrebbero essere sottovalutate dal PCC, è impossibile aspettarsi che ottengano maggiori benefici in una guerra nello Stretto di quelli che hanno attualmente. Mantenere lo status quo è anche l’opzione migliore per loro.

Si tratta di una strategia di “massima pressione” della Cina su Taiwan. Se la Cina combatterà o meno dipende da come reagisce l’avversario.

L’obiettivo è usare una forte deterrenza e chiari avvertimenti per fermare il rischio di una possibile indipendenza di Taiwan e del sostegno occidentale a Taiwan, e non permettere loro di sfondare la linea di fondo di Pechino.

Solo tre gruppi potrebbero volere lo scoppio di un conflitto militare: alcuni occidentali che vogliono usare la guerra come strumento per fermare lo sviluppo della Cina; alcuni personaggi indipendentisti di Taiwan troppo idealisti sul futuro; e alcuni patrioti in Cina.

Una volta che la Cina sparerà il suo primo colpo, verranno imposte sanzioni occidentali. A quel tempo, la Cina sarà isolata dalla comunità internazionale, lo sviluppo economico sarà gravemente danneggiato, potrebbero verificarsi cambiamenti interni e sarà difficile raggiungere gli Stati Uniti e l’Europa in campo militare, tecnologico ed economico.

Pertanto, il governo cinese considera le forze militari statunitensi e occidentali nel Mar Cinese Meridionale e nel Mar Cinese Orientale una provocazione. Stanno deliberatamente provocando la Cina. Una volta che la Cina colpirà davvero Taiwan, ne trarranno profitto.

La Cina non userà facilmente la forza su Taiwan, altrimenti cadrà in una trappola. Anche se gli Stati Uniti e l’Europa hanno rafforzato i loro legami con Taiwan negli ultimi anni, il PCC non ha fatto ricorso direttamente a soluzioni militari come alcuni si aspettavano.

Negli ultimi anni, la politica di “pressione finale” del governo cinese su Taiwan sembra avere meno successo di quanto si immagini. Taiwan e l’Occidente hanno invece reagito con forza a questo, forse con più forza di quanto previsto da Pechino. Di conseguenza, la Cina ha aumentato la sua deterrenza militare contro Taiwan. Tuttavia, questo fa solo credere agli occidentali che la Cina stia intensificando i preparativi per la guerra a Taiwan, quindi continuano a esprimere il loro sostegno a Taiwan. Un circolo vizioso.

Solo un mediatore terzo ma che conosca bene gli attori, potrebbe portare ad una risoluzione pacifica della questione. Singapore potrebbe essere un’opzione. Dopotutto, negli anni ’90, i rappresentanti di Pechino e Taipei hanno raggiunto il “Consenso del 1992” a Singapore, che ha permesso di mantenere stabile la sicurezza nello Stretto per decenni. Inoltre, il primo ministro di Singapore Lee Hsien Loong ha ripetutamente ricordato al mondo i rischi nello Stretto di Taiwan in passato, il che dimostra che Singapore riconosca la gravità della situazione.

In ogni caso, al momento, la Cina sta perseguendo una politica di massima pressione piuttosto che prepararsi alla guerra. Se ci sarà una guerra in futuro dipenderà da Taiwan e dalla risposta dell’Occidente a tale pressione.

D’altro canto, sull’isola, la maggior parte dei taiwanesi sta cercando di afferrare una “piccola ma certa felicità” pur sapendo che in questa vita potrebbero trovarsi in uno scontro nello stretto di Taiwan, uno specchio d’acqua largo 180 km che separa l’isola di Taiwan dall’Asia continentale, e la maggior parte di loro potrebbe non essere in grado di fuggire.

I sondaggi di aprile hanno mostrato che circa il 40% delle persone crede che Taiwan e la Cina si stiano dirigendo verso un conflitto militare, ma questa cifra è in aumento. Un altro sondaggio di quest’anno ha rilevato che il 50% delle persone è preoccupato che possa esserci una guerra nel prossimo anno.

Mentre ci sono opinioni politiche diverse e complicate a Taiwan, i sondaggi separati dello scorso ottobre hanno rilevato che il 77,6% delle persone era disposto a combattere in caso di invasione cinese. Altri studi hanno riscontrato che la maggior parte supporta gli sforzi diplomatici.

Più del 75% delle persone a Taiwan si considera taiwanese mentre il 7% si considera cinese.

La vita intanto va avanti. I taiwanesi sono cresciuti attraverso la legge marziale, la guerra o i ricordi delle loro famiglie. Le esercitazioni e le esercitazioni militari fanno parte della vita quotidiana. La metropolitana di Taipei è piena ogni giorno nell’ora di punta e le sale karaoke erano in piena attività la notte in cui la Cina ha inviato il suo cinquantaseiesimo aereo della giornata. Ma le paure crescono.

La comunità internazionale condanna sempre più la belligeranza della Cina nei confronti di Taiwan. I principali cambiamenti nelle relazioni degli Stati Uniti con Taiwan e la Cina sono iniziati sotto Donald Trump e il suo segretario di Stato, Mike Pompeo. L’amministrazione Biden si è impegnata a continuare la linea dura nei confronti della Cina e l’impegno “solido come una roccia” nei confronti di Taiwan, ma ha anche dimostrato che si tratta di uno sforzo multilaterale.

A settembre, gli Stati Uniti, il Regno Unito e l’Australia hanno annunciato una nuova partnership per la sicurezza, AUKUS, volta a contrastare le azioni della Cina nell’Indo-Pacifico. Ha sollevato interrogativi per il primo ministro britannico sul fatto che il paese potesse essere coinvolto in una guerra per Taiwan, cosa che non ha escluso.

Gli Stati Uniti mantengono una politica di ambiguità strategica nel tentativo di scoraggiare l’azione di entrambe le parti.

Ad aprile, l’UE ha dichiarato congiuntamente che le tensioni nel Mar Cinese Meridionale stavano minacciando la stabilità regionale, mentre le navi da guerra francesi hanno partecipato a esercitazioni congiunte con Stati Uniti e Giappone e la Germania ha recentemente inviato una nave da guerra per la prima volta in due decenni.

Benché la Repubblica di Cina fosse uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza presso l’ONU, essa venne rimpiazzata dalla Repubblica Popolare Cinese nel 1971. Come conseguenza della politica di Pechino orientata al riconoscimento dell’esistenza di “un’unica Cina”, Taiwan dal 1971 in poi ha molto sofferto sul piano diplomatico. Attualmente la Repubblica di Cina è riconosciuta da 15 paesi.

Gli Stati che hanno rapporti diplomatici ufficiali con la Repubblica di Cina (RdC) la riconoscono come solo e legittimo governo dell’intera Cina.

La Liberia è passata dal riconoscimento della RPC al riconoscimento della RDC nel 1989 ed ha cambiato nuovamente nell’ottobre 2003. Corea del Sud e Arabia Saudita hanno terminato le loro relazioni diplomatiche con la RDC nel 1992 ed il Sudafrica è passato al riconoscimento della Repubblica Popolare Cinese (RPC) nel 1998.

La Macedonia ha riconosciuto Taiwan negli anni Novanta, ma successivamente ha riconosciuto la RPC quando quest’ultima le impose sanzioni economiche ed usò il veto nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU per bloccare gli aiuti alla missione di peacekeeping. Il 31 marzo 2004 Dominica terminò il suo riconoscimento nei confronti della RDC che era cominciato nel 1983 perché la RPC le promise un finanziamento di 117 milioni di dollari in sei anni.

Nel giugno 2007, dopo quasi 50 anni di relazioni diplomatiche, la Costa Rica ha spostato il suo ambasciatore da Taipei a Pechino cessando ogni rapporto con la repubblica “ribelle” e sei mesi dopo il Malawi ha fatto lo stesso. Nel 2013 il Gambia ha riconosciuto la RPC al posto della RDC. Nel 2018 Repubblica Dominicana e Burkina Faso hanno interrotto i rapporti diplomatici con Taiwan.

Taiwan è vista da Pechino come una minaccia ideologica, non solo per una questione di integrità nazionale ma anche perché rappresenta una sorta di “Cina alternativa” rispetto a quella fondata dal Partito Comunista, tra l’altro con un modello statale completamente diverso, essendo Taiwan una repubblica democratica semi presidenziale con regime multipartitico, non uno stato socialista a partito unico.

Per gli Stati Uniti, invece, Taiwan è utile al monitoraggio della Cina, vista anche la sua vicinanza, e al suo contenimento marittimo: Washington vuole impedire a Pechino di avere l’egemonia sul mar Cinese meridionale e di espandersi nell’oceano Pacifico.

Per il Giappone, che recentemente si è avvicinato a Taiwan, è importante che la Cina non si impadronisca dell’isola perché altrimenti potrebbe ottenere il controllo anche dello stretto di Luzon, a sud, dove passano le rotte marittime dalle metaniere che portano il gas in Giappone, un paese povero di risorse energetiche.

Per quanto riguarda invece l’interesse economico e commerciale, Taiwan ha una grande importanza nell’economia globale, essendo un fornitore leader nell’industria dei semiconduttori, i chip che governeranno il mondo.

La taiwanese TSMC è in assoluto l’azienda più importante del settore, capace di produrre microchip avanzati e dalle dimensioni ridottissime: è dunque indispensabile per il soddisfacimento delle ambizioni economiche-tecnologiche sia degli Stati Uniti che della Cina. Pechino, in particolare, è indietro sui semiconduttori e dipende dalle forniture provenienti dall’estero.

Notevole importanza ha anche l’Acer, con sede a Taipei, uno dei primi produttori al mondo di personal computer. La produzione di schede madri, schede video, computer è tra le più avanzate al mondo, con aziende come ASUS, BenQ Corporation, HTC (High Tech Computer Corporation), MSI (Micro-Star International) che hanno contribuito allo sviluppo esponenziale dell’economia digitale sull’isola.

Taiwan è stata una delle quattro “tigri asiatiche” (insieme a Singapore, Corea del Sud e Hong Kong), Paesi che sono passati da una condizione in via di sviluppo ad una crescita senza precedenti, dovuta alla produzione per l’esportazione di prodotti molto richiesti dal mercato: prima tessuti e prodotti tessili, poi prodotti tecnologici e informatici. Per questa ragione il suo prodotto interno lordo è molto alto rispetto alla media mondiale.

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