sabato, Luglio 27, 2024
Società

Il paradosso della plastica

Analisi del dott. Armando Macali

Se facessimo un sondaggio chiedendo “cosa ne pensate della plastica” probabilmente la maggior parte degli intervistati riferirebbe certamente giudizi negativi.

Questo perché la plastica è ormai percepita, a buon titolo, come uno dei problemi ambientali più urgenti, al punto da aver promosso nell’ambito dell’Assemblea sull’Ambiente delle Nazioni Unite la ratifica, entro il 2024, di un accordo legalmente vincolante sull’inquinamento da plastica. Malgrado questa pessima reputazione, tuttavia, essa rappresenta uno dei prodotti tecnologici di maggiore successo dell’ industria umana. Dunque, come siamo arrivati a questo paradosso? La storia della plastica è intimamente legata a quella dell’industria dei combustibili fossili, circa 150 anni fa. E la sua venuta al mondo è da subito rivoluzionaria! Forse in pochi sanno, infatti, che l’avvento della pellicola cinematografica (1870) rappresenta il suo primo impiego di successo.

La produzione e lo sviluppo di migliaia di nuove applicazioni si sono accelerati dopo la Seconda Guerra Mondiale, con una esplosione durante il boom economico, dove la plastica è entrata nelle nostre case attraverso i più disparati oggetti di uso comune. Sebbene la nostra visione di questo polimero sia ormai associata al concetto di “usa e getta”, a tutt’oggi la plastica reso possibile la costruzione di moduli abitativi per le missioni nello spazio, ha alleggerito auto e jet, consentendo il risparmio di carburante e dunque contribuendo alla mitigazione dell’inquinamento atmosferico, e ha salvato vite con caschi, incubatrici e maschere per la ventilazione assistita. Le comodità offerte dalla plastica, tuttavia, hanno portato a una cultura del consumo e dello smaltimento che ha rivelato il lato oscuro del materiale: oggi, la plastica monouso rappresenta il 40% della plastica prodotta ogni anno. Molti di questi prodotti, come sacchetti di plastica e involucri per alimenti, vengono usati solo per pochi minuti o ore, ma possono persistere nell’ambiente per centinaia di anni.

La metà di tutte le plastiche commercializzate sono state prodotte negli ultimi 15 anni. La produzione è aumentata in modo esponenziale, da 2,3 milioni di tonnellate nel 1950 a 448 milioni di tonnellate nel 2015. Si prevede che la produzione raddoppierà entro il 2050.

Ogni anno circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica sfuggono nei mari dalle nazioni costiere. È come se venissero abbandonati cinque sacchi della spazzatura pieni su ogni metro di costa nel mondo! Tra le varie caratteristiche della plastica, la sua densità ha un particolare ruolo nella genesi dell’inquinamento degli ecosistemi marini. Essendo più leggera dell’acqua, tende a galleggiare, consentendo alla gran parte dei prodotti plastici rilasciati in ambiente terrestre di raggiungere gli oceani trasportati da fiumi e ruscelli, una sorta di nastri trasportatori che raccolgono sempre più rifiuti man mano che scorrono verso il mare.

Una volta in mare, la luce solare, il vento e l’azione delle onde scompongono i rifiuti di plastica in piccole particelle, spesso inferiori a mezzo centimetro di diametro. Queste cosiddette microplastiche si diffondono in tutta la colonna d’acqua e sono state trovate in ogni angolo del globo, dal Monte Everest, la vetta più alta, alla Fossa delle Marianne, la depressione più profonda.

Le interazioni biologiche con i rifiuti plastici sono quasi sempre nefaste. Dal punto di vista ecologico, oltre ai noti effetti negativi della contaminazione da plastica e microplastica sugli ecosistemi marini, esiste un ulteriore effetto, apparentemente positivo: i rifiuti plastici spesso favoriscono l’insediamento di organismi che possono utilizzare le superfici disponibili fornite dai rifiuti sul fondo del mare come “pietre miliari” per la loro dispersione e per aumentare la connettività tra le popolazioni. Questo contraddittorio effetto si pensa possa avere effetti a livello di comunità, poiché gli stadi larvali di molte specie di fondale sembra preferiscano insediarsi su substrati non naturali piuttosto che su quelli naturali. Sebbene alcuni organismi a crescita rapida possano essere efficacemente facilitati nella loro dispersione quando si insediano sui rifiuti ,stante la loro tendenza ad essere trasportati dalle correnti, questo potrebbe non essere il caso per le specie con una durata della vita superiore ai 100 anni, come molte specie di coralli, tra cui anche il prezioso corallo rosso (Corallium rubrum).

 

Colonie di corallo rosso rinvenute su frammenti di plastica campionati nei fondali della Sardegna (fonte)

I substrati di plastica che ospitano questi particolarissimi inquilini, infatti, sono relativamente piccoli e la loro stabilità sul fondo non è garantita, aumentando il rischio di essere spostati dalle correnti o seppelliti nei sedimenti. In ogni caso, è probabile che ciò accada in un lasso di tempo che non consentirà alle colonie di corallo rosso di raggiungere un’età riproduttiva e dunque garantirne la sopravvivenza nel lungo periodo.

Ma come spesso accade nella ricerca, da un problema ne può nascere una soluzione! Se è vero, infatti, che queste evidenze estendono gli effetti negativi dell’inquinamento da plastiche ad organismi che pensavamo non esserne impattati, dall’altro ci suggeriscono soluzioni per azioni di conservazione delle stesse specie. Il corallo rosso è intensamente sfruttato a fini commerciali ed il suo prelievo costituisce una reale minaccia alla sua conservazione. Progetti di reintroduzione di questa specie in natura sono sempre falliti a causa della difficoltà di impiantare giovanili di questa specie su substrati rocciosi naturali. In questo contesto, l’utilizzo delle superfici plastiche come substrato di insediamento appare uno strumento promettente per futuri interventi di ripristino di quelle popolazioni soggette a prelievo intensivo, aprendo nuove prospettive per progetti di conservazione della specie.

 

Giovani esemplari di corallo rosso allevati in laboratorio utilizzando materiale plastico come superficie di insediamento (fonte).

 

La possibilità di allevare giovani coralli in laboratorio per poi essere “trapiantati” su fondali idonei rappresenta in effetti una soluzione pratica alla loro conservazione in aree intensamente sfruttate.

Nonostante questi inattesi risultati, il problema dell’inquinamento da plastiche rimane, dopo il cambiamento climatico, la maggiore minaccia alla sopravvivenza degli ecosistemi marini operata dall’uomo. È necessario quindi ripensare il nostro modello di consumo di questo prodotto della tecnologia, limitandolo all’impiego di soluzioni innovative e di reale impatto sulla nostra società, riducendo la produzione di plastica monouso non necessaria, in accordo al principio delle tre R: Riduci, Riusa, Ricicla!

 

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